Le Uveiti
(a cura di P. Pivetti-Pezzi)
L’uveite è un'infiammazione che coinvolge l’iride, il corpo ciliare e la coroide. Queste
strutture, abbondantemente vascolarizzate e ricche di elementi immunocompetenti, hanno
la capacità di reagire a numerose noxae patogene, endogene ed esogene, realizzando
differenti quadri di uveite: flogosi essudative, plastiche, granulomatose, ecc.
Le uveiti “pure” in realtà sono rare; quasi sempre infatti il processo infiammatorio interessa
anche altre strutture viciniori come l’endotelio corneale, il vitreo, la sclera, la retina e il
nervo ottico.
Le flogosi uveali sono responsabili di circa il 10-15% dei casi di cecità nei paesi
industrializzati.
La loro incidenza è stata calcolata in 12-15 casi ogni 100.000 abitanti per anno, con una
maggior frequenza tra i 20 ed i 50 anni ed un rapporto di 3:1 tra uveiti anteriori ed uveiti
posteriori.
Si distinguono uveiti esogene ed uveiti endogene. Le prime sono secondarie ad interventi
chirurgici, ferite perforanti od ulcere corneali, per propagazione al tratto uveale di infezioni
esterne virali, batteriche o fungine.
Le forme endogene sono, invece, conseguenti ad un processo patologico endoculare
secondario a diffusione ematogena di agenti infettivi, a malattie sistemiche specifiche,
anche se a volte ad etiologia ancora sconosciuta, o a reazioni immunoallergiche locali.
Le uveiti endogene costituiscono la maggior parte delle affezioni endoculari. La loro
classificazione topografica in forme anteriori, intermedie, posteriori e diffuse, permette il
riconoscimento di differenti entità cliniche ed un inquadramento etiologico più preciso,
tenendo presente che l’etiologia delle uveiti rimane tuttora sconosciuta in circa il 40% dei
casi.
Lo studio delle uveiti ha subito negli ultimi anni una rapida evoluzione con nuovi approcci
diagnostici e terapeutici. Nonostante ciò, l’oftalmologo, di fronte ad un nuovo caso di uveite
ha spesso una sensazione di frustrazione. L’incertezza dell’etiologia può infatti spingere a
richiedere numerosissimi esami diagnostici, la maggior parte dei quali inutili, o a non
richiederne affatto nella convinzione che la diagnosi etiologica non sia più un obiettivo
importante da perseguire, iniziando in ogni caso una terapia aspecifica antinfiammatoria
con corticosteroidi. Questi atteggiamenti non perfettamente corretti vengono aggravati
dall’ansia del paziente, convinto che l’accertamento della causa dell’uveite possa essere
risolutiva sulle recidive e sulla dipendenza dagli steroidi.
L’approccio al paziente uveitico richiede, invece, un esame clinico meticoloso, una corretta
interpretazione dell’indagine etiologica ed il riconoscimento di specifici quadri clinici.
Di particolare importanza è la collaborazione con l’internista, l’immunologo, l’infettivologo
ed il neurologo, perché il saper interpretare le manifestazioni non oculari della malattia può
essere determinante nell’inquadramento etiologico e quindi nella prognosi e terapia
dell’uveite stessa.
Fattori predisponenti
Ogni individuo possiede un certo “capitale patologico” ereditario, un complesso di fattori esogeni ed endogeni che determinano l’esordio, la localizzazione, la gravità ed il decorso dell’uveite.
Razza e distribuzione geografica
Alcune sindromi uveitiche presentano una distribuzione geografica caratteristica legata in
parte a fattori razziali e genetici e in parte a particolari aspetti epidemiologici, ecologici o
climatici di determinati Paesi.
La predisposizione genetica allo sviluppo dell’uveite è testimoniata dal riscontro di
correlazioni tra antigeni HLA e determinate sindromi uveitiche. Probabilmente alcune uveiti
rappresentano un tipo di risposta geneticamente determinata del tratto uveale ad un
agente infettivo, spesso ancora sconosciuto.
Così i membri di famiglie HLA-B27 positive possono sviluppare separatamente o in
combinazione alcune malattie infiammatorie come la spondilite anchilosante, la sindrome di
Reiter, l’uveite anteriore acuta recidivante ed il morbo di Crohn, forse quale espressione di
una suscettibilità alle infezioni geneticamente determinata.
L’istoplasmosi oculare presunta è particolarmente diffusa negli USA ed in particolare nella
valle del Mississippi dove l’infezione da Histoplasma capsulatum è endemica e dove sembra
esservi una correlazione con l’antigene HLA-B7 , mentre è pressoché assente in Europa.
La sarcoidosi negli USA è strettamente correlata a fattori razziali essendo molto più
frequente nella razza nera, mentre in Scandinavia sembra maggiormente correlata a fattori
ambientali ed ecologici.
La malattia di Vogt-Koyanagi-Harada presenta un’alta incidenza in Giappone e predilige le
razze molto pigmentate.
Anche per la malattia di Behçet sembra evidente una predisposizione genetica testimoniata
dalla stretta correlazione con l’antigene HLA-B51 nei Giapponesi e nelle popolazioni del
Mediterraneo, medio-orientali e del sud-est asiatico.
La caratteristica distribuzione geografica in Giappone e nel bacino del Mediterraneo
suggerisce inoltre la possibilità di un agente causale infettivo endemico in questi Paesi.
La malattia sarebbe stata diffusa dalle antiche tribù nomadi o dai turchi nel periodo di
maggior espansione dei loro commerci lungo la “via della seta”.
Le uveiti correlate con le sindromi reumatiche hanno invece un’incidenza molto bassa in
Giappone e sono pressochè assenti in Africa occidentale.
Nei Paesi del Pacifico sud-orientale ( Nuova Guinea, Nuova Zelanda, aborigeni australiani),
infine, le flogosi uveali sono estremamente rare; in particolare l’oftalmia simpatica è
assente nonostante l’alta frequenza di traumi oculari perforanti non trattati.
Età
Le flogosi uveali sono meno frequenti nell’infanzia e nell’età senile.
L’incidenza maggiore si osserva infatti tra i 20 ed i 50 anni e raramente l’uveite compare
dopo i 70 anni. La rarità delle uveiti nei bambini (10-12% del totale delle uveiti) sembra
essere imputabile in parte all’immaturità del sistema immunitario ed in parte a fattori
endocrini dai quali dipende anche l’aumento d’incidenza delle uveiti nelle donne verso i 50
anni.
Nell’infanzia e nell’adolescenza sono frequenti la toxoplasmosi oculare, le uveiti anteriori
croniche legate all’artrite reumatoide giovanile, la toxocariasi oculare, le parsplaniti e
l’iridociclite eterocromica di Fuchs. Nei giovani adulti sono, invece, più frequenti le uveiti
anteriori acute legate a malattie articolari HLAB27 correlate, come la spondilite
anchilosante e la sindrome di Reiter.
In questo gruppo di età si osservano inoltre recidive di toxoplasmosi oculare congenita e
manifestazioni oculari della sarcoidosi.
Nella 3a- 4a decade di vita sono frequenti la malattia di Vogt-Koyanagi-Harada, la malattia
di Behçet e l’epiteliopatia pigmentaria a placche, mentre le forme tubercolari e luetiche si
riscontrano in tutti i gruppi di età.
Dopo i 60 anni le uveiti sono più rare ma hanno un decorso e una prognosi peggiori per il
sovrapporsi di alterazioni degenerative e vascolari senili. Non è inoltre da sottovalutare
l’aumentata incidenza in questa fascia di età di uveiti secondarie ad interventi chirurgici,
soprattutto di cataratta, e di pseudouveiti secondarie a malattie linfoproliferative.
Sesso
Non vi sono differenze di incidenza tra i due sessi, ma alcune forme di uveite sembrano
essere più frequenti negli uomini ed altre nelle donne, rispecchiando l’incidenza delle
malattie sistemiche correlate. Così le uveiti anteriori acute sono più frequenti nel sesso
maschile data la maggior frequenza negli uomini della spondilite anchilosante e della
sindrome di Reiter, mentre le uveiti anteriori e diffuse croniche correlate alla sarcoidosi a
all’artrite reumatoide sono più comuni nel sesso femminile.
La malattia di Behçet è più frequente negli uomini con un rapporto di 3:1 in Giappone e nei
Paesi del Mediterraneo, mentre nei paesi anglosassoni mostra un’uguale distribuzione nei
due sessi.
La malattia di Vogt-Koyanagi-Harada sembra avere una maggiore incidenza nelle donne
mentre l’oftalmia simpatica è più frequente negli uomini perché più esposti a traumatismi
oculari perforanti.
Fattori endocrini sono sicuramente responsabili dell’aumento dell’incidenza delle uveiti nelle
donne in menopausa, delle recidive di flogosi uveale nel periodo mestruale (uveiti
catameniali) e durante la gravidanza.
Fattori psico-sociali
Da tempo è nota l’influenza di fattori psico-sociali, ed in particolare degli stress,
sull’instaurarsi dell’ uveite e sulle sue recidive.
La climatoterapia un tempo in auge ed ora poco valutata aveva infatti la sua validità come
mezzo di rimozione del paziente da un ambiente sfavorevole, fosse esso batterico, allergico
o psicologico.
Del resto è constatazione comune come si possano ottenere dei miglioramenti sostanziali
ricoverando un paziente affetto da uveite ed effettuando la stessa terapia già praticata
domiciliarmente: il riposo, la diminuzione degli stimoli stressanti e l’allontanamento da
ambienti e climi umidi giocano infatti un ruolo importante sul decorso di numerose flogosi
uveali.
Le recidive di uveite si osservano spesso in coincidenza di affaticamenti o “esaurimenti”
psicofisici e di eventi emotivamente rilevanti.
Il sistema nervoso centrale sembra, infatti, controllare l’espressione delle reazioni
immunologiche e, come per altre affezioni, vi è una chiara correlazione tra stress, attività e
recidivanza della malattia uveale.
Il trauma emozionale scatenerebbe l’esacerbazione dell’uveite attraverso meccanismi
neuroendocrini e immunologici in parte secondari alla temporanea immunodepressione
indotta dalla sua azione sulla produzione endogena dei 17-chetosteroidi.
L’ipotalamo sarebbe il centro delle reazioni infiammatorie mediate da stimoli emozionali
attraverso il rilascio di ormoni adrenocorticotropi, di inibitori dopaminergici e di β-
endorfine.
Inquadramento etiologico
Le numerose discrepanze che emergono dal confronto delle rassegne etiologiche di
differenti Autori dipendono dalla difficoltà di determinare con certezza l’eziologia della
maggior parte delle uveiti. In molte statistiche vengono, infatti, incluse soltanto le forme ad
etiologia certa, in altre anche quelle ad eziologia possibile o probabile, mentre in altre
ancora vengono presi in considerazione insieme alle uveiti ad eziologia accertata o presunta
anche le entità cliniche il cui meccanismo etiopatogenetico è ancora sconosciuto. Va, infine,
sottolineato che i risultati riportati dai Centri specializzati per lo studio delle uveiti non
rappresentano la reale incidenza delle diverse forme di flogosi uveale nella popolazione, in
quanto ad essi vengono inviati soprattutto le uveiti di difficile inquadramento diagnostico.
Così nelle loro statistiche l'incidenza delle uveiti anteriori risulta spesso sottostimata e non
rispetta il rapporto di 3:1 con le uveiti posteriori, perché le forme acute anteriori non
creano particolari problemi di diagnosi e di trattamento e solo in caso di recidive
subentranti e di mancata risposta alla terapia convenzionale vengono indirizzate verso i
suddetti centri. Analogamente alcune entità cliniche possono risultare sovrastimate, se la
ricerca sull'etiopatogenesi delle flogosi uveali porta a selezionare le uveiti ammesse allo
studio eziologico.
Le uveiti anteriori costituiscono circa il 56% delle flogosi attualmente osservabili, le uveiti
intermedie l’11%, le posteriori il 14% e le diffuse il 19% (vedi tabella).
Le uveiti infantili, oltre che una minor incidenza percentuale, riconoscono anche un
differente rapporto di frequenza delle forme anatomo-cliniche con prevalenza delle uveiti
posteriori e delle flogosi croniche e una maggiore possibilità di inquadramento etiologico,
forse per una diversa incidenza nelle varie fasce di età delle principali cause di flogosi
uveale accertate o presunte.
Le tabelle seguenti riportano la prevalenza delle uveiti, suddivise anatomotopograficamente
ed a seconda dell’inquadramento etiologico, riscontrata presso il Centro
di Riferimento Regionale per le Uveiti e le Malattie Infiammatorie Oculari Complesse di
Roma, Università “La Sapienza”
Prevalenza delle uveiti (Prof. Paola Pivetti Pezzi, Sapienza Università di Roma, 1999-2003,
1089 pazienti)
Principi di Terapia
In tutti i tipi di uveite la strategia terapeutica nasce da un corretto inquadramento
diagnostico della flogosi endoculare, dalla conoscenza della storia naturale e delle
caratteristiche evolutive delle singole entità cliniche ed, infine, dalla valutazione del
rapporto rischio-beneficio conseguente al trattamento prescritto. Benché non esistano
schemi terapeutici prefissati, ma ogni paziente richieda una particolare condotta
terapeutica fondata sulla conoscenza, osservazione e registrazione del decorso della sua
uveite in tutte le sue fasi, qualsiasi programma terapeutico nel trattamento delle uveiti
deve basarsi sulle seguenti valutazioni ed osservazioni cliniche generali:
1. certezza della diagnosi anatomo-clinica dell’uveite (uveite anteriore, intermedia,
posteriore diffusa, pseudouveite,ecc.);
2. determinazione del grado di attività e del decorso dell'uveite
;
3. valutazione dei rischi di sviluppo di complicanze, della loro eventuale presenza e
reversibilità;
4. mono o bilateralità dell' uveite;
5. valutazione dello stato generale, dell'affidabilità e della "compliance" del paziente;
6. possibilità di valutare nel tempo gli effetti della terapia prescritta.
Scopo primario di ogni trattamento, oltre alla risoluzione della sintomatologia dolorosa e
alla soppressione della reazione infiammatoria, è il miglioramento della funzione visiva
unitamente alla prevenzione di ulteriori deficit funzionali. È, pertanto, evidente come
l'impegno terapeutico in presenza di una stessa entità clinica con uguali caratteristiche di
attività sarà completamente diverso in rapporto alla presenza o meno di gravi danni
funzionali irreversibili (per esempio cicatrice maculare, atrofia ottica). Il trattamento delle
uveiti può essere medico o chirurgico, locale o generale, specifico o non specifico, o più
modalità in combinazione.
Il controllo delle reazioni immunologiche responsabili del danno tessutale costituisce
l'obiettivo principale del trattamento delle flogosi endoculari e rappresenta il razionale della
terapia antinfiammatoria aspecifica anche nei casi di uveite ad etiologia infettiva nei quali è
possibile un trattamento specifico. Quest'ultimo è rivolto all'eradicazione o soppressione
dell'agente causale responsabile dell'uveite.
La terapia locale, priva di effetti collaterali sistemici, deve essere sempre preferita quella
generale quando siano efficaci tutte e due queste vie di somministrazione, mentre una
terapia generale è comunque indicata quando l'uveite costituisce la manifestazione clinica
di una malattia sistemica. Anche la terapia chirurgica può essere specifica, come nel caso di
rimozione del cristallino o di residui capsulo-lenticolari nell'uveite facoanafilattica, o più
spesso costituisce il trattamento di elezione di alcune complicanze come cataratta,
glaucoma, intorbidamenti ed organizzazioni vitreali, distacco di retina.